Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza, 2014)
Adèle passeggia per le strade del suo quartiere, a Parigi, e sembra fragilissima nel suo cappotto sbilenco di lana beige. Ha ottant’anni e la città si schiude davanti ai suoi occhi come un paesaggio lontano ed estraneo. Il giorno in cui, dopo il secondo ictus, suo marito se n’è andato, Adèle ha pianto, colpevolmente sollevata. Era diventato irriconoscibile, «una statua con gli occhi strabuzzati», ha osato confessare a Martha, la giovane donna che vive con la figlia nell’appartamento affianco al suo. Martha era agente immobiliare, aveva la testa piena di nozioni di estimo, norme di diritto, leggi fiscali e regolamenti edilizi, poi, disoccupazione e divorzio hanno vinto per lei ogni altra combinazione di problemi. Dopo aver accompagnato Eline all’asilo, fa colazione da sola con le calze ai piedi e le briciole dei biscotti della bambina sul tavolo, un modo come un altro per ritardare l’inizio della giornata. A volte se ne va al parco e a zonzo per il quartiere, a volte sale al piano di sopra e rigoverna l’appartamento di Jacob Lundman, un uomo dalla voce profonda e morbida e gli occhi così neri che la pupilla si confonde con l’iride. Eline lascia a Adèle dei disegni sullo zerbino e lei risponde con caramelle, biglietti o filastrocche che la bambina recita con la madre prima di dormire, come una preghiera. La solitudine sembrerebbe irrimediabile, se l’amore, «il dolore più grande e la più grande consolazione» secondo le parole di Adèle, non facesse nuovamente irruzione nella loro vite, a indicare un posto dove stare e dove ritrovarsi o, come dice la più piccola delle tre, una strada che le riporti a casa, una strada per Parigi. |
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Ilsole24ore
Un libro di incontri e di svelamenti, un romanzo in cui Parigi c’è ma non ingombra mai. Perché chi abita sta, ed è nelle abitudini che svela la dimora, e dunque i suoi pensieri. E’ il metaforico titolo del romanzo d’esordio di Novita Amadei (Neri Pozza, Euro 16), arrivato secondo alla prima edizione del Premio Neri Pozza 2013. Dentro c’è una strada per Parigi è un libro prezioso, composto, e come avrebbe detto Jeff Buckley dotato di grace quell’evanescente stato che a volte raggiunge gli oggetti, racchiuso dalla parola, “aggraziato”. La storia di Martha, sua figlia Eline, di Adèle l’anziana signora che abita nel loro stesso palazzo. Di Jacob, il fotografo svedese dal quale Marthainizia a fare le pulizie (necessità di recuperare dopo un divorzio, disoccupazione, i piccoli grandi crucci che si sedimentano sullo sguardo di ognuno). E Sébastien, il figlio di Adèle. Storie e intrecci che si toccano lievi.Sono personaggi che apprezzano la solitudine, quelli di Amadei, che ne percepiscono sottigliezza, che sia filtrata da un’abat-jour o dal respiro vaporoso di una stanza, nel pulviscolo dei minuti che passano: “Il vapore saliva breve dalla tazza, la teneva con le due mani, gli occhi confusi (…) Da quando era disoccupata aveva preso l’abitudine di fare colazione dopo aver accompagnato Eline a scuola, un modo come un altro per ritardare l’inizio della giornata, un secondo risveglio da sola, con le calze ai piedi e le briciole dei biscotti di Eline sul tavolo (…) nel silenzio del tè che annerisce, del vapore che si dissolve, di tutte quelle ore da aspettare (…) Si sentiva arrendevole come le mattine fuori, mattine di poche foglie sugli alberi e di luce lenta”. Il testo di Amadei scorre veloce, preciso, lo stile asciutto eppure poetico, sul filo rosso che congiunge sillabe a senso, e che a volte parla la lingua del perdono, di una religiosità di gesti, poiché l’etimo racconta il mondo, ere-ligo è legare le cose. Il senso del titolo Dentro c’è una strada per Parigi proviene dal piccolo linguaggio di Eline, ed è storia di rapporti e vita delicata, di madri e bambine che si tengano per mano sulle strade dei giorni, nei piccoli gesti che schiudono mondi: “Se ne andavano al parco e a zonzo per il quartiere recitando filastrocche, cantando e rientrando col pane dell’ultima sfornata. “Mi dai un bacio?” “Si sono rotti”… Amadei inventa un mondo abitato da creature gentili, utilizza lemmi del cuore mai di troppo, piuttosto lo stile dell’autrice rivela cura e attenzione per le cose, gli oggetti come le frasi, le emozioni ci sono eppure nell’intensità non si svelano mai del tutto, raccolte, trattenute, le onde dentro dei personaggi del romanzo filtrano appena, per riserbo, nel rispetto che tocca agli esseri umani, ed è atteggiamento d’antan ancora più estetico in un’autrice esordiente (di mestiere, Novita Amadei si occupa di rifugiati, alla nostra domanda sul legame tra i suoi personaggi esuli e gli esiliati incontrati nella “schiuma dei giorni”, Novita ha avuto il pudore di non rispondere, e anche di questo le siamo grati ndr). Un libro in cui i personaggi sono se stessi ma anche di più, in qualche modo. Sembra abbiano imparato a mettersi nei panni degli altri- la gentile giustizia di Atticus Finch, ilmemorabile personaggio di Harper Lee – e lo fanno piano, con un tempo sospeso che non affretta le cose, le scontorna piuttosto per renderle più sfocate, avvolte da una coperta di cotone grezzo, a spicchi di grano, e lievi tracce di malinconia, aggraziate come labbra morbide e composte che parlino parole calme. Il romanzo di Amadei è fatto di cose piccole e mai da poco, scelte di dignità e minuscoli festeggiamenti. Forse per questo, la narrazione prosegue senza sosta, le pagine scorrono piacevoli come foglie in caduta d’autunno. “C’era una sedia addossata al muro del balcone, il legno era sbiadito dall’acqua e dal sole, stava nel lato dove lo sguardo arrivava più lontano (…) Bastavano solo due piani di scale perché il panorama fosse bagnato da un’altra luce, i passanti più piccoli e le nuvole più nitide. Col nuovo lavoro, aveva guadagnato un balcone minuscolo e le nuvole, nuvole due volte.” Ed è un libro di incontri e di svelamenti, un romanzo in cui Parigi c’è ma non ingombra mai. Perché chi abita sta, ed è nelle abitudini che svela la dimora, e dunque i suoi pensieri. E’ un linguaggio femminile quello di Amadei – “Aprì con quell’aria preoccupata che hanno le donne quando si preparano di fretta e si sentono in ritardo anche se non lo sono -. Un linguaggio che non conosce orizzonte di lettura, dunque, perché il genere è sensibilità, e sguardo da un lato dello specchio, che poi colma l’intorno solo per completezza. Sono storie di sottrazione, quelle di cui narra l’autrice, “Non ci si può fidare della pioggia”. Di parole e frasi belle perché vere, semplicemente. Le piccole storie di Amadei, si tramandano a volte attraverso lettere altre per mezzo dei pensieri, ma c’è la cura, una cura rara in questo libro, che è più dell’attenzione, e rasenta la delicatezza nello stile, e tradisce un animo irrequieto ma pacato, al contempo, si immaginano le dita aggraziate dell’autrice battere sui tasti lettere una dietro l’altra a comporre questa storia, un calice di vino rosso poggiato su un tavolino di rovere, il profumo di lilla, la macchia tonda del bicchiere, e fuori la sera umida di Parigi, illuminata dai lampioni llungo la Senna, dove anche le persone hanno l’aspetto “leggermente curvo” dei lampioni. E poi c’è il riserbo del silenzio prezioso, da dedicare a pochi. Unascrittura dedicata, che tiene deposito del tempo al tempo, giorni passati al setaccio della memoria. Quando i personaggi liberi di Amadei scoprono tracce del presente nei ricordi non è mai troppo presto, o troppo tardi, è semplicemente tempo. Il tempo fatto di sguardi, dai quali si fugge, ma mai per sempre. Dentro c’è una strada per Parigi è libro d’equilibrio, di parole e atti delicati, piccoli come gesti, di persone che si camminino accanto, solo per un poco e che poi, come nei sentieri di montagna, scompaiano, senza chiasso. “Perché le parole si possono dimenticare, le mani no”. Mauro Garofalo l’Unità
Novita Amadei si segnala scrittrice inconsueta, libera, capace - senza acrobazie - di ritagliarsi una fisionomia incisiva. Il nome si pronuncia Nòvita con l’accento sulla o. Sembra indiano, invece è un nome d’invenzione che ha a che vedere con l’idea di novità. L’hanno voluto per lei i suoi originali genitori, quando è nata, a Parma, nel 1978. Dunque Novita Amadei ha trentacinque anni – una generazione, la sua, che sta dando parecchio alla narrativa italiana – ed è al suo primo romanzo: Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza, 175 pagine, 16,00 euro). Ecco subito una seconda bizzarria: strano titolo, si dirà. Dentro dove? Dentro al libro c’è una strada per Parigi? In che senso? Il senso lo si scopre solo leggendo, arrivando al quarto e ultimo capitolo e non sarò io a svelarlo. E’ bello leggere il romanzo accompagnati da questa domanda, mentre si snoda una storia leggerissima e profonda che ha come centro la relazione fra tre creature femminili, l’ottantenne Adèle, la piccolissima Eline, che va all’asilo, e la sua mamma Martha, che a occhio deve avere l’età dell’autrice o poco meno. Sono francesi e vivono a Parigi, dunque che bisogno hanno di trovare la strada che va in città? Che sia metaforica questa strada? Sì e no, ma altro non aggiungo su questo punto. Invece narro un po’ la storia. Martha ha perso il lavoro, pur essendo una brava agente immobiliare, e contemporaneamente ha divorziato. E’ andata a vivere in una nuova casa, al quinto piano, porta a porta con Adèle, e cerca di prendere nuove misure col mondo. Al settimo vive un misterioso scandinavo, Jacob Lundman, che Martha non ha mai visto ma nell’appartamento del quale finirà, per un’altra bizzarria del suo carattere, a fare le pulizie al posto della domestica rumena, che se ne va e cerca una sostituta. Tutto questo insistere sui pianerottoli è importante, perché gran parte delle svolte nella vicenda avviene in ascensore o per le scale del palazzo o sulle porte di casa a cui qualcuno bussa. Ma cosa avviene precisamente? Tutto e niente, la vita, l’amore, l’amicizia, la morte. La complessità dei sentimenti. Le telefonate con una quasi sorella che vive al di là dell’Oceano. Un’uscita con le ex colleghe. Le passeggiate per il quartiere dove chiudono vecchi negozietti. La grazia infinita dei bambini, quando non sono stucchevoli nei racconti che ne fanno gli adulti. La solitudine; la possibilità di mettervi fine, e la gelosia di conservarla. Il segreto degli altri, che vivono qualche piano sopra di noi, o sotto, o di fronte e di cui solo incidentalmente e per caso intuiamo qualcosa di autentico, e di doloroso, tenuto discretamente per sé. E’ chiaro che Lundman e Martha sono destinati a incontrarsi, a innamorarsi anche un po’. Quando in un romanzo citi una pistola carica a un certo punto quella pistola sparerà. Però col silenziatore, in questo caso. Perché Amadei racconta così, sottovoce, e in modo saggiamente pacato. Ha «la voce grande e calma» che attribuisce al suo personaggio maschile, un uomo che la conquista per sottrazione, e non perché voglia negarsi, ma perché la vita separa chi si ama, dolcemente, senza fare rumore dice la poesia di Prévert cantata da Yves Montand. E poi c’è il figlio di Adèle, Sébastien, pure lui coi suoi conti in sospeso con la madre, che si scioglieranno quando emergerà il passato dell’anziana signora. E intorno a tutto, intuita, respirata, sentita più che descritta sta Parigi, protettiva e materna come sono Martha e Adèle l’una per l’altra, e tutt’e due per Eline, e come pure Eline – nel suo modo infantile – è per loro. C’è un brano del libro, per esempio, in cui Martha e Jacob fanno un giro notturno per la città intorno a uno zoo d’invenzione e parlano di se stessi parlando d’altro. La città è uno sfondo lontano, anonimo, eppure presente, quasi desse l’intonazione al dialogo. «Perché fa le pulizie?» le chiede lui. «C’è chi va in analisi e chi fa le pulizie» risponde lei, e poi domanda: «E lei? E’ svedese?» «Sì, c’è chi fa psicanalisi, chi le pulizie e chi è svedese». Quando tornano a casa, lei sale in ascensore e lui fa i sette piani a piedi. Rientrano ognuno nel proprio appartamento. Lui si affaccia alla finestra a osservare «la città tiepida» e in quell’umidità rivede i capelli bagnati di Martha. Martha la città non la guarda, non si accorge nemmeno dei botti (è Capodanno) perché sta semplicemente sorridendo. «Si spogliava davanti allo specchio e sorrideva… non si accorse dei fuochi, sorrideva». Selezionata l’anno scorso, fra quasi duemila concorrenti, nella cinquina del Premio Neri Pozza per inediti (a proposito: il bando della seconda edizione 2015 è stato reso pubblico il 6 maggio) Novita Amadei, che da molti anni vive in Francia e si occupa di rifugiati, si segnala scrittrice inconsueta, libera, capace – senza acrobazie – di ritagliarsi una fisionomia incisiva. C’è sicuramente tanto cinema francese contemporaneo nelle sue immagini, ma del migliore: quello che sa raccontare la quotidianità, l’annodarsi e sciogliersi dei sentimenti attraverso piccole storie, con malinconia venata di divertimento, con un acume leggero che affonda in una seria conoscenza delle cose narrate. Leggendola ho pensato a Claude Sautet, per dire, il meraviglioso regista di film come Un cuore in inverno o, il mio preferito, Nelly e Monsieur Arnaud. Sandra Petrignani Huffington Post
Dentro c'è una strada per Parigi è un libro raffinato e ricco di sensibilità. Non poteva esserci esordio migliore nel mondo letterario per questa di Parma che da anni lavora in Francia nell’ambito dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Parigi la conosce molto bene e ce la racconta in questo suo primo romanzo con cui è stata finalista all’ultima edizione del Premio Neri Pozza. Le protagoniste sono tre donne: una signora ottantenne di nome Adèle e le sue nuove vicine, Martha e la figlia Eline. Nonostante le differenze di età, hanno molte cose che le accomunano, a cominciare proprio da Parigi che non è mai descritta ma è sempre indefinita e solo in alcune pagine l’autrice fa il nome di qualche piazza o monumento. Ed è proprio questo che la fa essere ancora più interessante ed attraente e solo chi la vive o la conosce molto bene potrà capire che il palazzo in cui abitano tutte e tre si trova nella parte alta del Marais, un quartiere in cui calzolai, corniciai ed altre botteghe hanno lasciato il posto a sofisticate gallerie d’arte e a hôtels particuliers. Ma si sa, Parigi è una città “liquida”, che non smette mai di cambiare e questo una come Adèle, anche se non lo sopporta, lo sa molto bene. E’ una donna inquieta perché è consapevole che la vita che ha vissuto ha superato di gran lunga il tempo che le resta da vivere. In più adesso è rimasta sola, perché un secondo ictus le ha portato via per sempre il marito e suo figlio, Sebastien, è sempre assente. Vive a Londra, ma non la considera più di tanto ed è spesso molto distaccato nei sentimenti. Lei però cerca sempre di giustificare le sue assenze, anche a Natale (“Non viene perché lavora nella finanza e la sua banca non sembra rispettare le festività”, dirà), ma dentro di lei sa che non è così, e la sofferenza è parte integrante della sua esistenza. Trova conforto nella nuova vicina Martha e in sua figlia Eline, che ha da poco compiuto tre anni. Anche loro sono inquiete e soffrono la loro solitudine. Martha era sposata e faceva l’agente immobiliare, adesso è divorziata e ha perso il lavoro e deve arrangiarsi offrendosi come donna delle pulizie al signore dell’ultimo piano, Jacob Lundman, approfittando del fatto che la signora che c’era prima di lei si è dovuta trasferire. Le tre instaurano un ottimo rapporto e in poco tempo diventano più che familiari, facendosi cortesie ed aiutandosi reciprocamente. Sono tutte e tre, a loro modo, alla ricerca della loro strada, tre personaggi che non urlano mai, ma sussurrano. Hanno segreti e nelle loro vite l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, ma sono attraversati dall’amore di cui costruiscono nel racconto un’immagine corale. “Anche nel dolore, così come nella felicità, l’amore rimane un’esperienza d’amore e tutte e tre le donne lo testimoniano, ognuna a loro modo”, mi ha spiegato l’autrice quando l’ho incontrata a Roma. Ne è un esempio anche la piccola Eline, che è una luce intermittente ma luminosa che attraversa l’intero romanzo e che richiama tutti a sé, anche i più lontani, anche chi è morto.Dentro c’è una strada per Parigi è un libro raffinato e ricco di sensibilità costruito attorno alle varie forme di vuoto e di assenza, usate dall’autrice per costruire le relazioni con i personaggi. E’ una toccante e coinvolgente narrazione di narrazioni che fa tornare alla luce piccoli gesti ed abitudini che si pensavano perdute. Tra queste, quella di scrivere lettere e non e-mail. Le scrive Adèle come Martha, le scrive Sebastien e a suo modo anche Eline. “Veicolano un’intimità in più e conquistano con la calligrafia di chi le scrive, con il colore, il profumo e la consistenza della carta”, ha aggiunto la Amadei, che in questo momento vive a Tolosa, ma Parigi la aspetta di nuovo, “perché dopo un po’ di tempo che non ci vivi, ti manca e l’unica cosa che devi fare è tornarci il prima possibile”. Un consiglio che seguirete sicuramente se leggerete il suo libro che una volta finito, vi resterà dentro a lungo. Giuseppe Fantasia lettofranoi.it
C'è la dignità del grande autore in questa scrittrice di destini. Una volta seguii alla televisione un’intervista al regista Ferzan Özpetek. Era il periodo del suo film più noto, Le Fate Ignoranti e mi colpì una frase che diceva pressappoco così: A volte per cambiare la propria vita è sufficiente salire una rampa scale. In quel film la protagonista, Margherita Buy, scopriva un mondo molto distante da quello vissuto fino a quel momento nel grigiore del suo quotidiano. Un mondo che apparteneva al marito e che l’aveva esclusa. A Martha invece, la protagonista del delicato affresco letterario di Novita Amadei, basterà varcare la soglia della nuova casa assieme alla sua bambina di tre anni, Eline, per andare incontro a un destino inaspettato. Dentro c’è una strada per Parigi parla della vita, delle piccole cose di tutti i giorni, dei dubbi dell’anima, della ricerca di sé. Se sia necessario lasciare tutto, anche a costo di enormi sacrifici, per ricominciare, con una bambina piccola, senza lavoro, con un matrimonio fallito alle spalle; o abbandonarsi al rimpianto e bighellonare, fare di tutto per dimenticare e sopravvivere. Senza gesti eclatanti ma con molto coraggio, nella stessa città, Parigi, metafora, con le sue strade, di un Altrove entro cui cercare, Martha fa la conoscenza di Adèle, un’anziana signora che abita nel suo stesso pianerottolo e con cui inizia a condividere le sue giornate. Specchio l’una dell’altra, Martha e Adèle si raccontano senza pudore. Sono storie comuni quelle delle loro vite eppure posseggono il sapore della scoperta, di quelle sofferenze per troppo tempo taciute e che trovano il coraggio della rivelazione. Le due donne si sono avvicinate, per la prima volta, osservando le vetrine di quella che prima era una merceria, mentre adesso è una galleria d’arte moderna. “«In certe situazioni ci si comporta come si può» le disse Martha semplicemente e aggiunse: «Trovo anch’io che siano opere di cattivo gusto». «Avrei preferito che quel posto rimanesse una merceria, sarebbe stato più utile». Smisero di parlare, ciascuna con un’immagine negli occhi sconosciuta all’altra. Sembravano madre e figlia sedute nella solitudine della stessa mattina d’autunno, sull’orlo basso della memoria”. Tutto intorno a loro sembra suggerire un cambiamento. Ed è Eline il simbolo stesso di questo inizio. Sembra proprio lei ad aprire le porte dei giorni, a insistere sulla strada dei sentimenti condivisi tra le donne. Con la madre “Se ne andavano al parco e a zonzo per il quartiere recitando filastrocche, cantando e rientrando col pane dell’ultima sfornata. “Mi dai un bacio?” “Si sono rotti. “Rotti? E come faccio senza baci?” “Li posso aggiustare se vuoi”; con Adèle “Mia cara Eline, ho fatto dei sogni dolcissimi questa notte. Penso sia merito della torta che mi hai portato. Se da grande farai la pasticcera, verrò ogni giorno a mangiare uno dei tuoi dolci per poterti ritrovare nei miei sogni e svegliarmi felice”. Novita Amadei si diverte a pennellare ogni scena come fosse un acquerello le cui tinte non dovessero sovrabbondare. Cesella con grazia i discorsi dei personaggi, facendo attenzione a non caricarli troppo. Il loro linguaggio è espressione di premure, di rituali antichi, di cure perpetrate con amore e rispetto. C’è la dignità del grande autore in questa scrittrice di destini. Il riserbo della sua scrittura, praticata per obbedienza alla Letteratura di tutti i tempi, impone silenzio e ascolto. Accade la stessa cosa ai personaggi di questa storia. Ciascuno a suo modo, nel silenzio, accetterà la verità della propria esistenza e non si tirerà indietro nel momento fatidico. Non possiamo esimerci dal vivere, sembra sussurrarci la scrittrice, anche quando la vita ci toglie molto di più di quello che ci dona. Ma è proprio in quel momento che il destino ci sorprende. Può arrivare Lundman come per Martha, un misterioso vicino; o semplicemente può accadere che arrivi una sorella, Backy, a farsi portavoce di un segreto del nostro passato che non avremmo mai sospettato. Perché spesso non serve partire. Tutto è già dove siamo, solo che non ce ne accorgiamo. E cerchiamo invano, ci aggiriamo tra stanze intime dei nostri patimenti ignorando che invece c’è una sola strada: è dentro. Non in alto o lontano da noi, in chissà quale paese. Dentro. E allora, insieme a Martha, Eline, Adèle, Lundman, Backy e tanti altri personaggi ancora, staremo esattamente qui dove siamo sempre stati. Qui dentro, dove c’è una strada per Parigi. O per dove noi vorremo che sia. Angelo Di Liberto |