La Rete Italiana Pace e Disarmo nasce nel 2020 dall’unificazione di due organismi storici del movimento pacifista e disarmista italiano, la Rete della Pace e la Rete Italiana Disarmo e conta sul sostegno di decine di associazioni, organizzazioni e movimenti della società civile. Francesco Vignarca è il coordinatore delle campagne e, per la presente rubrica, interviene sul rapporto fra pace e disarmo.
Qual è il legame fra pace e disarmo?
Il legame fra pace e disarmo è evidente, e lo è sia nelle situazioni di guerra sia in assenza di un conflitto conclamato. Nel primo caso, infatti, solo attraverso percorsi di cessate il fuoco e di disarmo si può arrivare a una tregua, condizione necessaria, anche se non sufficiente, per poter poi costruire la pace. Anche in mancanza di guerre, però, pace e disarmo sono strettamente legate, perché il disarmo permette di spostare risorse, pensieri e politiche da scelte che preparano futuri conflitti, a scelte che li risolvono o li prevengono, per esempio, riducendo la corsa agli armamenti e la minaccia che ciò rappresenta, contrastando le disuguaglianze, lottando contro la povertà, la fame, i cambiamenti climatici, operando, in sintesi, a rispondere agli obiettivi sostenibili dell’agenda 2020-2030 delle Nazioni Unite.
Il legame fra pace e disarmo è fondamentale perché è fondamentale il disarmo come elemento chiave della nonviolenza strutturale, cioè di un’impostazione politica sistemica – non solo di un “atteggiamento” personale – che deve diventare modello delle relazioni sociali e delle architetture istituzionali. La proposta della Rete Italiana Pace e Disarmo è quella di una politica nonviolenta che decide e definisce una serie attività per trasformare i conflitti, presenti da sempre nella natura umana, in maniera non distruttiva e non armata. I percorsi contro gli armamenti, la riduzione delle spese militari e il disarmo sono cruciali per costruire una pace positiva, ossia per la garanzia del rispetto dei diritti umani per tutti, non solo in quei paesi in cui ciò è funzionale alla supremazia di alcuni poteri.
Come si manifesta nell’attuale guerra in Ucraina ?
La corsa all’armamento e l’aumento delle spese militari portano solo a un’escalation delle guerre, non alla loro risoluzione. Tuttavia, occorre riconoscere che è difficile implementare azioni di disarmo durante una guerra in corso. La politica nonviolenta funziona molto bene per prevenire i conflitti, per avviare trasformazioni positive e ricostruire dopo un conflitto ma, come ogni altro approccio, se non è preparata adeguatamente, risulta complesso metterla in atto nel corso di un conflitto. E per il disarmo, che è parte integrante della politica nonviolenta, è lo stesso.
Nel contesto ucraino, il disarmo si gioca su un doppio binario, quello degli armamenti convenzionali, attualmente utilizzati nello scontro bellico, e quello degli arsenali nucleari. Nel primo caso, il disarmo è inteso come abbandono immediato delle armi (la strada naturalmente più auspicabile) e come abbassamento della tipologia degli attacchi (per esempio, non ricorrere ad armi come le mine antipersona e le munizioni cluster o non utilizzare le armi esplosive in contesti popolati – a questo proposito, è appena stata appena approvata, a Dublino, una dichiarazione politica internazionale). Questi provvedimenti contribuiscono a diminuire non solo il livello dello scontro, ma anche l’impatto e la ripercussione che il conflitto ha negli anni e nei decenni a venire.
Il secondo aspetto per cui, nella guerra russo-ucraina, il disarmo è cruciale, è quello specifico del nucleare. Il conflitto in Ucraina, diversamente da altri, magari anche più sanguinosi, ha messo in luce la pericolosità e la minaccia delle armi nucleari. Anche durante la guerra, allora, è cruciale lavorare per mantenere e rafforzare tutti i percorsi di messa al bando di armi nucleari perché, così facendo, si può abbassare la tensione di fondo fra i belligeranti e, in qualche modo, favorire già una risoluzione. Chiedere un cessate il fuoco immediato, infatti, non deve impedire di pensare al futuro e il disarmo nucleare, in discussione oggi, ha conseguenze di lungo termine per i paesi coinvolti nel conflitto e per il mondo intero. Solo pensando al futuro e prendendo in considerazione la necessità di una sicurezza globale, condivisa fra comunità e popoli, si può raggiungere la stabilità, e di più, la pace.
Un esempio in cui il disarmo è stato chiave nella risoluzione pacifica dei conflitti
I casi in cui il disarmo è stato chiave nella risoluzione di un conflitto si possono individuare sia in contesti in cui si è raggiunta una soluzione pacifica, sia in contesti in cui si sono creati i presupposti perché non si arrivasse alla guerra. Le soluzioni pacifiche, infatti, non sono solo in uscita dalle guerre, ma anche in prevenzione alle guerre stesse. Si possono citare tantissimi esempi che non vengono menzionati per non dover ammettere che la soluzione del disarmo, la soluzione nonviolenta, è indubbiamente la migliore, basti pensare al Mozambico o ad altri in Africa, o la stessa Guerra Fredda. Per uscire dalla Guerra Fredda e creare condizioni di sicurezza e di pace è stato fondamentale convenire per un disarmo convenzionale forte con la riduzione delle spese militari – che purtroppo oggi stanno aumentando di nuovo – e un disarmo nucleare fortissimo (siamo passati da 75 mila testate a 13 mila, numero ancora molto elevato, ma il calo è stato enorme).
Nell’ottica nonviolenta, il disarmo è fondamentale alla pace, inteso come stop alle armi, cessate il fuoco e armistizio, e poi, in prospettiva, come strumento per avviare percorsi di disarmo. Solo in questo modo, infatti, si può creare una pace positiva e duratura.
È importante pensare alla pace non solo come a una condizione di assenza di guerra, per cui si firma l’armistizio e non si spara più. La pace, quella che da noi e da molti altri studiosi viene definita “pace positiva”, va oltre allo stop delle armi, e arriva a eliminare le ragioni che potrebbero consentire al conflitto di ripresentarsi. Il disarmo, nello specifico, va al di là del non uso delle armi e comprende la riduzione del sistema degli eserciti e dell’armamento. Queste azioni sono cruciali per favorire la fiducia reciproca tra gli attori del conflitto che, in questo modo, vedono abbassare il livello d’intimidazione, di minaccia e, di conseguenza, di tensione. Inoltre, come detto sopra, si spostano le risorse da investimenti che preparano una possibilità d’offesa, a investimenti volti a migliorare le condizioni di vita delle persone coinvolte in quel contesto. E, studi alla mano, quando si migliorano le condizioni di vita delle persone, di qualsiasi contesto si tratti, si crea un sistema di pace. Se le persone stanno bene, infatti, tendono a rimanere in pace e a mantenere, sul lungo termine, una situazione positiva. Sono le disuguaglianze, le esclusioni, le segregazioni che danno ragione alle guerre, oltre, ovviamente, alla volontà di potere.